PERCORSI DI FELICITA'
“Percorsi di Felicità” è un percorso di crescita personale e di autorealizzazione. Attraverso il dispositivo gruppo, ai laboratori di psicologia positiva e di empowerment , ogni partecipante potrà migliorare la qualità... di vita (relazionali-sociali-economiche) e lo sviluppo delle proprie potenzialità sia psicologiche che fisiche (autostima, felicità, comunicazione, carriera, riduzione dello stress, consapevolezza psicofisica, ecc.).
Gli incontri si svolgeranno in contesti naturali, storici ed artistici. I luoghi sono scelti in base al valore simbolico ed alle risonanze psicoaffettive.
GESTIONE DELL'ANSIA:
UN PERCORSO IN 10 SEDUTE PER IMPARARE
A SVILUPPARE CONSAPEVOLEZZA E MIGLIORARE LA PROPRIA VITA
Psicoterapia Cognitivo Costruttivista
Nell’ottica cognitiva, nell’ambito della psicopatologia, si preferisce utilizzare i concetti dinamici - legati al
divenire individuale - di compenso e scompenso, anziché quelli statici di normalità
e psicopatologia. Ogni sistema conoscitivo evolve gradualmente verso livelli di maggiore
complessità e ordine interno cercando costantemente di mantenere
un proprio equilibrio ovvero la propria coerenza sistemica. Tale
equilibrio non può considerarsi raggiunto una volta per tutte, poiché
deve ristrutturarsi continuamente in rapporto alle validazioni e invalidazioni
cui va incontro nella sua relazione con il mondo, mantenendo
integro il senso dell’identità personale (Guidano, 1988). Un processo
di crisi o di scompenso può verificarsi quando nel confronto con la
realtà alcuni schemi nucleari (sovraordinati) connessi con l’identità
personale affrontano un processo di invalidazione che determina la
necessità a un riordinamento complessivo talmente ampio da superare le loro capacità di ristrutturazione.
La cornice all’interno della quale si articola il processo terapeutico,
nell’ottica costruttivista, è esemplificabile mediante la metafora originariamente
proposta da Kelly (1955) dell’uomo come scienziato. Il lavoro
terapeutico è concettualizzato come un processo di ricerca all’interno
del quale paziente e terapeuta svolgono i ruoli distinti e
complementari rispettivamente di ricercatore e di supervisore alla ricerca.
La metafora definisce le competenze specifiche di ciascuno dei
due membri della relazione: il paziente è l’esperto rispetto all’oggetto
della ricerca (il suo sistema di conoscenza, le sue sensazioni, i suoi
pensieri, le sue emozioni ecc.) poiché è l’unico ad avere la possibilità
di un contatto diretto con esso; il terapeuta è l’esperto rispetto al metodo
e il suo compito è quello di suggerire gli strumenti, le procedure
e i tempi per portare avanti l’intero processo. In questo lavoro la
logica è quella della ricerca scientifica: non esistono verità, ma solo
ipotesi, più o meno attendibili, che devono essere verificate, ipotesi
che saranno considerate valide solo nella misura in cui non si riesca a invalidarle e il paziente
le viva come coerenti con le altre regole del suo sistema di conoscenza
e congruenti con le sue sensazioni emotive.
L’obiettivo della ricerca è la ricostruzione delle caratteristiche degli
schemi prevalenti del sistema di conoscenza del paziente, della
loro influenza sul suo comportamento e dei processi di costruzione
dei significati. Alcune di queste strutture e di questi processi sono più
facilmente accessibili per la coscienza, altri più difficili o addirittura
impossibili da rappresentare a questo livello. Ad esempio i processi
interni che fanno sì che - in un determinato momento - un individuo
si comporti nella relazione con un altro precisamente come si sta
comportando possono raggiungere il livello della consapevolezza solo
in minima parte. Al massimo, focalizzando l’attenzione sui propri
comportamenti, è possibile essere consapevoli degli obiettivi generali
che guidano, ma la scelta specifica delle parole pronunciate, della
gestualità, della mimica e delle emozioni che li accompagnano derivano
da un insieme complesso di processi interni che, per la contemporaneità
e la rapidità del loro svolgersi e per l’automatismo che li contraddistingue,
non sono e non possono essere consapevoli.
Il processo di autoconoscenza comporta quindi spesso il tentativo
di ricostruire, a posteriori, e in termini inferenziali, i processi messi in
atto al di fuori della consapevolezza.
Comunque, sia che ci si proponga di ricostruire strutture conoscitive
più facilmente accessibili alla coscienza o strutture della conoscenza
non consapevole, è il paziente stesso che dovrà effettuare la
ricostruzione delle conoscenze relative a se stesso. Compito del terapeuta
è aiutarlo ed accompagnarlo nel percorso di autoconoscenza,
indirizzandolo (spingendolo a “guardare”) nelle direzioni potenzialmente
più utili e sostenendolo nei momenti emotivamente più difficili,
senza offrire proprie interpretazioni o conoscenze “preconfezionate”.
Anche quando si lavori su materiali altamente simbolici, come nei
sogni notturni, è compito del paziente formulare le interpretazioni,
mentre il terapeuta si limiterà a facilitarle proponendogli accostamenti
fra immagini narrate, sensazioni provate, ricordi significativi e frammenti
di autoconoscenze ricostruite nel corso del lavoro terapeutico.
Poiché non esiste la possibilità di un accesso diretto alle proprie conoscenze
inconsapevoli, la loro ricostruzione passa essenzialmente attraverso un processo indiretto
e inferenziale. Il paziente viene invitato a porsi nella posizione di un osservatore
esterno a se stesso, ad adottare metodologie di auto-osservazione (rispetto ai propri
comportamenti, pensieri, stati d’animo, emozioni) tentando di costruire a posteriori
ipotesi esplicative su propri contenuti o processi conoscitivi non compresi in quanto
non rappresentabili direttamente nella coscienza (Cionini, 1991).
Per risultare efficace ai fini del cambiamento, l’acquisizione di
nuove conoscenze su di sé non può essere esclusivamente razionale,
ma deve essere sentita e rivissuta emotivamente. Una persona può
comprendere razionalmente molte cose relativamente al modo in cui
funzionano i propri processi psichici, senza che questo induca cambiamenti
interni significativi. Un conto, ad esempio, è capire teoricamente
che molti dei propri problemi attuali derivano da determinate
interazioni avute con i genitori durante l’infanzia, un altro è riuscire -
con le attuali potenzialità cognitive - a riattivare e rivivere nel setting
terapeutico le sensazioni di abbandono, ostilità o paura che pur avendo
caratterizzato gran parte di quel periodo di vita non sono state
espresse e sono state quindi inibite e mascherate. È prevalentemente
attraverso questo percorso che la modalità di rappresentarsi quelle
esperienze, una volta ricostruite a livello di coscienza, può andare incontro
ad un processo di riorganizzazione che può tradursi in una
modifica dei significati personali.
Per facilitare il paziente nel passaggio dal capire al sentire possono
essere utilizzate tecniche specifiche di lavoro sulle emozioni ed un
uso differenziato del setting con l’utilizzazione, in determinati momenti,
di una poltrona reclinabile .
All’interno di questa cornice teorico-metodologica la lunghezza
media di un trattamento psicoterapeutico è di circa tre-quattro anni
(con frequenza settimanale delle sedute), pur all’interno di un’ampia
variabilità individuale.